Spulciando nell’archivio in quel lavoro infinito che è il suo riordino, nella mia collezione di cognomi e paesi dai nomi buffi, mi ritrovo a ricordare tutti quei pazienti. La signora ottantenne col Parkinson, ed un’eleganza irripetibile. Il fruttivendolo che mi portava frutta fresca ai controlli, e provava a mettermi le mani addosso. L’ufficiale in pensione col corteggiamento automatico e Michele dall’altra pare del muro a farmi da angelo custode. Penso a quando il laboratorio veniva spostato “temporaneamente” nel peggior posto possibile, ma ora non è poi tanto meglio. A quando con i medici c’era rispettosa confidenza, perchè erano persone degne e non supponenti ragazzetti ignoranti. Ad amicizie tali che quando ti capita di vederti dopo anni ti abbracci e ti racconti il pezzo di vita trascorso, come niente fosse, che le ‘colleghe’:”eri con un signore…” “sì è il primario di …” “primario?” “sì. Primario. Sono gli specializzandi neolaureati che non salutano, non i Professori veri!”
Mi ritrovo a pensare a me molto giovane, inesperta, ingenua e parecchio incosciente a fare completamente da sola i peggiori “rosti” della mia carriera. Per poi sentirmi dire “il tuo nome non si poteva mettere nella pubblicazione, perchè ce n’erano già troppi” Peccato che avevo fatto quasi tutto il lavoro io. A me così giovane che i pazienti più giovani di me, in genere erano pediatrici, e rari.
Ho amato follemente il mio lavoro. Mi ci sono dedicata ciecamente. E quanti litigi, corse, massacranti giornate. Figlio piccolo a casa con la febbre, o io al lavoro col febbrone e la mascherina per non trasmettere germi.
Ora siamo al disamore. Io amo insistentemente, nonostante tutto. E’ lunga la strada per condurmi a non amare più. E anche quando non amo più, resto fedele alle scelte, al senso del dovere.
Lavoro bene, per scelta. Ma non lavoro più per niente. Sono esperta ora, sono bravissima a stabilire priorità, e di priorità vere ce ne sono poche. Ed ho imparato a dire no. Faccio il mio, il giusto. Faccio quello che è previsto, non mi metto più a sindacare se sia giusto o sbagliato, so quando è inutile, ma è scritto ed io lo faccio. Eseguo “gli ordini semplici” del mio cosiddetto capo.
Finalmente non mi porto più i pensieri del lavoro a casa.
E’ una delle grandi conquiste dell’età. Che liberazione invecchiare: impari a ricondurre tutto all’essenziale.
oddio…mi sembra di leggere i miei pensieri
eh… sarà l’annata…
Qualcuno ha suggerimenti da dare per non prendersela troppo? A parte pensare intensamente al mutuo da pagare…
aspetta di invecchiare e non te la prendi più
Il lavoro nobilita l’uomo (ma anche la donna?) ….e lo rende simile alla bestia.
La soluzione sarebbe non lavorare
e il mutuo come lo pago?
Infatti ho scritto “sarebbe” 😜
io vorrei andare in pensione… invece dovrò lavorare altri vent’anni 😦
Io fino alla morte, in quanto autonomo
è lecito sperare in una favolosa vincita 😉
ogni tanto gratto …..ma per ora nulla da fare
spera spera…
Mmm, l’esperienza aiuta proprio in questo. Io la vedevo come una missione, poi ho capisco che la dovevo prendere più easy, se non vuoi apprendere, ciao, quella è la porta, affari tuoi, io ho fatto il mio.
Purtroppo il mio è un lavoro che il lavoro a casa te lo devi portare per forza, anzi, la maggior parte del lavoro lo si fa a casa, anche per questo ti crea il disamore di cui parli.
Il tuo lavoro può essere anche peggio del mio. Anche se spero non ti capitino tanti pazzi come qua.
Non sempre gli insegnanti si portano il lavoro a casa, solo quelli che fanno bene il loro mestiere. E di cui nessuno si accorge.
Ma è il non preoccuparsi più, a casa, a fare la differenza. Il mio lavoro necessariamente lo faccio in laboratorio e devo lasciare i problemi lì. Guadagno davvero troppo poco per portarmeli a casa.
A casa ho da risolvere i miei di problemi (anche legati a quel guadagno…)
La medaglia non me la dà nessuno, anzi
Certo, son due lavori diversi, nel mio il lavoro a casa è obbligatorio perchè non posso certo pretendere di preparare durante la lezione i compiti in classe o di correggerli. Oltre che preparare le lezioni. Di matti ce ne stanno sempre, son quelli che poi cresciuti vengono da te, presuppongo 😉
La medaglia non la daranno mai nemmeno a me, tranquilla, al limite qualche apprezzamento sul mio operato che fa sempre piacere 🙂
Ah, e anche io guadagno davvero una miseria, non è certo per questioni economiche che uno scelga o meno questa vocazione, ahimè
pensa che io guadagno meno di te!
Avevo un insegnante, che odiavo ricambiata, che le lezioni non le preparava più, non dava compiti a casa, interrogava e faceva poche verifiche scritte. Secondo me a casetta faceva poco. Secondo me, eh.
Io facevo tantissimi temi, mio figlio pochissimi. Forse il mio prof di italiano a casa faceva più del suo?
Così a spanne.
Che poi mi è pure simpatico ‘sto prof. Solo che dovrebbe essere più energico e tenere la classe.
Sinceramente spero che i ragazzi delle superiori non siano già presi da ansia tale da dover andare dallo psichiatra, da mille disturbi somatici… Il principe le sue rogne le ha, ma vive, ride, scherza e litiga tanto con me. Forse un giorno gli verranno gli attacchi di panico, ma non in adolescenza… per carità!
Fai bene, bisogna fare il giusto e non di più. Il troppo stroppia! Anch’io l’ho imparato col tempo, e poi ho capito che si vive meglio. Fortunatamente dovrei andare in pensione parecchio prima di te
non credo che ci andrò… per quando sarebbe il mio turno si saran mangiato tutto e di più!
Il TFR già è sparito… i colleghi che vanno in pensione ora lo aspettano quattro anni.
Sono stato con una aspirante medico, cinque anni e mezzo. Mi sono rivissuto a latere tutto il corso di laurea, poi è finita in naufragio. Di quelli seri, brutti, che ti trovi a gettare le zattere nel mare nero al buio.
Da istruttore di Croce Rossa, vedevo già in lei le radici di come odiare quel mestiere. Radici gettate da un sistema formativo delirante, dove non ti sostieni fra colleghi studenti ma ti passi le bibliografie sbagliate nella speranza che il tuo “avversario” perda tempo per studiare cose inutili e stecchi l’esame.
Io che vengo dall’ambulanza, dal tenere la mano alle persone che soffrono per dirgli “io sono qui con te”, dal soffrire davanti alla gente ammanettata e menata durante i TSO, io che seguo con onore un movimento fra i cui principi ci sono l’umanità e l’universalità della propria missione, non ho mai capito né accettato questo sistema. Non ho mai capito la svogliatezza e l’arroganza di certo personale sanitario, di chi dovrebbe fare uno dei mestieri più umani del mondo e si comporta sfoderando solo cinismo.
Una volta in un’intervista per la mia tesi un signore di 97 anni mi disse “sempre ho sfidato chi veniva a casa mia a indovinare che mestiere facessi”. Una grande lezione per riuscire a tenere separati la propria vita affettiva e domestica con le grane di lavoro. Ma davvero, è difficile. Io ci lotto quotidianamente. Da pischello mi sento solo di dirti di non rinunciare mai a quell’amore che provavi da giovane, perché il passo da lì alla noia è brevissimo. Va bene non farsi più pigliare per il culo, le priorità e il resto. Immagino voglia dire essere grandi, ma ti prego cerca di restare un po’ anche giovane. vedi è un po’ come il sesso: quando sei giovane è una figata ma sei imbranato, fai anche delle gran figuracce. Da grande hai maggiore esperienza e forse sai godertela anche di più, ma sconti il rischio del non essere mai alla scoperta di qualcosa di nuovo. L’importante è non perdere mai quelle farfalle nello stomaco, quella sensazione di volare come quando hai sedici anni e baci per la prima volta qualcuno. Forse mi sbaglio, ma può valere questo anche per il tuo mestiere?
mi stai dando della vecchia? :-S
Sono troppo empatica per fare male le cose che hanno a che fare con la salute altrui. Fortunatamente i miei pazienti sono tutti benigni, ed io faccio “solo” la diagnostica.
Il resto tocca ai chirurghi o ai gastroenterologi (e qui che il cielo ci aiuti). Lavoro con un chirurgo molto bravo. Uno in un intero reparto…
Per il sesso rimango giovane 😉